Obesità: dolorosa reazione a traumi infantili

L’incremento della casistica di situazioni di grave sovrappeso e obesità che spontaneamente si rivolgono a noi dopo anni di tentativi falliti di dimagrimento e possibilità di cambiare, ci ha stimolato a proporre una riflessione circa quali possano essere le ridondanze cliniche, le diagnosi più frequenti e le strategie terapeutiche più efficaci.

Sicuramente le nostre riflessioni ribadiscono e confermano un concetto generale: il cibo come regolatore di uno stato emotivo. L’iperfagia, come tutte le dipendenze, può essere un comportamento necessario a sostenere una difesa psicologica di tipo dissociativo. Dalle nostre storie si evince come in situazioni segnate da profonda sofferenza individuale e relazionale, questa difesa pare particolarmente utile. Ciò dipende dal senso primordiale del cibo come nutrimento, riempimento, garante di una forza che altrimenti non può essere percepita.

In alcuni casi abbiamo potuto riscontrare come l’obesità possa essere protezione (da gravi traumi) e, al tempo stesso, strategia per tenersi insieme (dal rischio di una caduta psicotica che fa sentire la persona frammentata e disorientata).

In altri casi, dove compare un’obesità infantile, abbiamo potuto riscontrare, da parte dei genitori, uno stile educativo scarsamente contenitivo: genitori con storie di grave trascuratezza e solitudine mostrano personalità autarchiche e carenziate, scarsamente in grado di essere caregiver sufficientemente efficaci. Oppure adulti gravemente dipendenti dalle proprie famiglie di origine che risultano essere le uniche e vere beneficiarie di sacrifici e servigi a discapito dell’ultima generazione che subisce trascuratezza e svalutazione. Il cibo è unico veicolo di cura e autocura, senza alcuna regolazione e limite, quindi senza nessuna crescita, autonomia ed emancipazione.

L’attuale cultura tratta l’obesità come una questione prettamente chirurgica; risolvibile attraverso diete interminabili, interventi e farmaci anoressizanti. Soluzioni che si sono dimostrate, nei casi da noi incontrati ma non solo, fallimentari sul lungo periodo. L’obesità non è solo e “semplicemente” una malattia del corpo ma anche, e soprattutto, una malattia dell’anima e come tale deve essere trattata. L’obesità, come disturbo del comportamento alimentare è una patologia psichiatrica che utilizza il corpo come mezzo d’estrinsecazione della sofferenza.

Nonostante a tutt’oggi, ancora, non sia stata dimostrata l’esistenza di una correlazione specifica e diretta tra abuso sessuale infantile (o altre esperienze traumatiche) e obesità, le ricerche presenti in letteratura, la nostra esperienza clinica descritta in questo lavoro, ci consentono di ipotizzare una conclusione generale: i vissuti di violenza sessuale e/o fisica e/o di tipo psicologico possono essere considerati dei fattori di rischio predisponenti allo sviluppo di un disturbo alimentare come l’obesità.

Considerando la conclusione sopra riportata è comprensibile come l’integrazione di un approccio terapeutico specifico per il trauma, l’EMDR (eye movement desensitization and reprocessing), in un programma terapeutico globale abbia reso il processo di cura di queste persone di successo. Questo metodo terapeutico si focalizza non solo sui ricordi che sono implicati nello sviluppo della patologia, ma agisce anche sulle situazioni presenti che provocano il disagio emotivo e contribuisce a consolidare le capacità e i comportamenti specifici necessari all’individuo per il futuro.